Separazione con addebito: cos’è e cosa comporta

Separazione con addebito

L’addebito ai sensi di legge

Ai sensi dell’art. 151, comma 2, c.c. “il giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi è addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.

Presupposto per la pronuncia di addebito, è che vi sia una separazione giudiziale ( essendo dunque esclusa per ovvie ragioni nella separazione consensuale) e che il coniuge nei cui confronti è richiesto abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri coniugali.

Tale violazione, tuttavia, non è di per sé sufficiente a fondare l’addebito, essendo altresì richiesto che dal comportamento colpevole del coniuge sia derivata l’intollerabilità della convivenza. In altri termini, è necessario che il coniuge istante dia prova del nesso di causalità tra il comportamento colpevole – volontariamente e consapevolmente posto in essere – dell’altro coniuge e la crisi familiare. Qualora, per converso, la violazione si verifichi in un contesto di crisi coniugale già in atto, non potrà darsi luogo all’addebito della separazione.

Cosa significa separazione con addebito

La pronuncia di addebito, conserva, nella disciplina vigente, quella funzione sanzionatoria che in passato era assegnata alla colpa.

Di fatto, tramite l’addebito, che come ribadiamo ha natura sanzionatoria, il fallimento della vita coniugale viene attribuito ad uno dei coniugi con delle conseguenze patrimoniali e successorie. Tra di esse figura l’impossibilità di attribuzione dell’assegno di mantenimento, come statuito dall’art. 156, primo comma, c.c., al coniuge responsabile della fine del matrimonio.

Quali sono i comportamenti coniugali che causano l’addebito

In tema di separazione personale dei coniugi, l’aggressione dei diritti fondamentali della persona, quale l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge costituisce grave violazione dei doveri coniugali, ed in particolare del dovere di rispetto dell’altra persona. La violenza perpetrata nei riguardi dell’altro coniuge è sempre intollerabile e mai giustificata; essa consente di ritenere provato, ex se, il nesso causale tra la violazione del dovere coniugale di assistenza e solidarietà tra i coniugi, costituendo quindi, causa di addebito della separazione.

In giurisprudenza hanno assunto rilievo i seguenti comportamenti contrari ai doveri coniugali: può rilevare ai fini dell’addebitabilità della separazione non unicamente l’instaurazione da parte del coniuge di una relazione amorosa con un terzo, bensì anche solo insistenti approcci, i maltrattamenti domestici.

Ancora hanno assunto rilievo in riferimento alla violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale comportamenti quali la pratica del meretricio da parte di un coniuge, l’infedeltà omosessuale e il concepimento di un figlio con altra persona

È a tal proposito irrilevante che il coniuge incolpevole abbia tollerato il comportamento dell’altro contrario ai doveri coniugali è quel che ha chiarito la Cass., 20 settembre 2007, n. 19450 secondo cui “in tema di separazione giudiziale dei coniugi, la pronuncia di addebito ad un coniuge, che ha tenuto comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio, non è esclusa dalla protratta tolleranza dell’altro coniuge”.

L’ingiustificato allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, e cioè senza il consenso dell’altro coniuge, e confermato dal rifiuto di tornarvi, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto conduce all’impossibilità della prosecuzione della convivenza. (Cass., 18 giugno 2008, n. 16575; Cass., 10 aprile 2008, n. 9338) .

Non è invece motivo di addebito l’abbandono della casa coniugale da parte di un coniuge determinata dalla intollerabilità della convivenza (Cass., 24 febbraio 2011, n. 4540)

Come si prova l’addebito?

Abbiamo detto che ai fini della pronuncia di addebito è necessario che il coniuge istante dia prova della violazione dei doveri coniugali da parte dell’altro coniuge da cui, secondo la sua prospettazione, sia derivata la intollerabilità della convivenza.

Sul punto con l’avvento di Internet costituiscono ormai prove legali, la produzione in giudizio di fotografie e profili Facebook, messaggi WhatsApp e talvolta anche mail private del coniuge, sulla base della considerazione che in costanza di matrimonio vi è un naturale affievolimento della privacy tra coniugi.

La Corte di Cassazione ha sancito, però in merito all’utilizzabilità dei messaggi WhatsApp che essi hanno valore di prova purché vi siano i supporti informatici (gli smartphone o il pc) nei quali sono presenti le conversazioni, altrimenti non assumeranno valore probatorio. (sentenza n. 49016 del 2017).

Come produrre le chat in giuduzio

Non è sempre facile produrre delle prove in giudizio. Infatti, quando il contenuto delle conversazioni di messaggi WhatsApp non è supportato dal dispositivo elettronico ove sono contenute non saranno valutate dal Giudice. Tuttavia possono essere acquisite in giudizio in modo diverso, attraverso:

  1. La testimonianza, con cui la persona che abbia letto il contenuto dei messaggi riferirà davanti al giudice sul contenuto di quanto ha letto direttamente;
  2. Lo screenshot del display del dispositivo, stampandolo od allegandolo con una pennetta usb al fascicolo processuale;
  3. La consulenza tecnica in caso di contestazione sull’autenticità del messaggio, chiedendo al giudice di nominare un perito che esamini il supporto e la chat e ne riporti il testo su un documento cartaceo. La relativa trascrizione è condizionata dall’acquisizione del supporto contenente la conversazione;

Sul punto l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha affermato come il marito che, in seno al giudizio di separazione personale tra coniugi, esibisca materiale specifico e inequivoco, raccolto da investigatori privati da lei/lui autorizzati e comprovante la reiterata violazione, in privato e in pubblico, da parte dell’altra/o coniuge, del dovere di fedeltà coniugale, non viola alcuna norma o alcun principio della normativa di cui alla L. 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modifiche; il/la coniuge/ infatti, non commette un illecito se fa valere in sede giudiziaria la violazione di un suo diritto utilizzando dati personali sensibili dell’altra/o, strettamente pertinenti alla causa e all’oggetto del processo e non eccedenti nelle finalità di quest’ultimo, nei limiti cronologici necessari al loro perseguimento, restando impregiudicata la valutazione discrezionale dell’autorità giudiziaria in ordine alla validità, all’efficacia e alla pertinenza e rilevanza, in causa, dei dati personali sensibili prodotti.

Con riguardo alla prova, la Cassazione ha precisato come, poiché le vicende oggetto di giudizio si svolgono normalmente tra le mura domestiche, le fonti di convincimento provenienti da persone di famiglia, quali i parenti e gli affini – ai quali in via di eccezione l’art. 247 c.p.c. consente di testimoniare – hanno lo stesso valore di quelle provenienti da terzi estranei (Cass., 1 maggio 1977, n. 1814). È altresì ammessa la prova per presunzioni

L’amante è tenuto a risarcire i danni subiti dal coniuge tradito?

Chi intrattiene una relazione con persone coniugate, ad avviso della Suprema Corte (Corte di Cassazione, n. 6598/2019) esercita il diritto alla libera espressione della propria personalità protetto anche dalla Costituzione.

Piuttosto, la richiesta di risarcimento potrebbe essere avanzata nei confronti dell’amante quando quest’ultimo per i comportamenti posti in essere o le modalità, abbia leso diritti inviolabili- quali la dignità e l’onore- del coniuge traditoe sempre che la lesione della dignità sia direttamente causata dal comportamento dell’amante.

A tal proposito, la Cassazione ha invece ritenuto possibile l’accoglimento della domanda risarcitoria quando l’amante si sia vantato della propria conquista nell’ambiente di lavoro oppure abbia mostrato delle immagini.

Cosa accade nel caso in cui i coniugi propongano reciproche richieste di addebito

È molto frequente che i coniugi si attribuiscano la responsabilità della separazione reciprocamente.

Cosa succede, quindi se entrambe le parti violano i doveri che sorgono dal matrimonio?

Posto che, in ogni caso, il comportamento di ciascuno dei coniugi deve essere valutato in raffronto con quello dell’altro; a parità di violazione dei doveri coniugali si tratta di definire con esattezza quale delle due condotte sia precedente e causa dell’altra.

Al riguardo, la Cassazione con l’ordinanza del 13 ottobre 2014 numero 21596 ha sancito che se lei ha tradito per ripicca verso l’ex marito che l’ha tradita per primo, la separazione va addebitata a lui. In conclusione quindi vale sempre il criterio della priorità nella ricerca del comportamento che ha violato i doveri coniugali, da cui sia fatto discendere lo sfaldamento dell’unione.

A volte, le colpe possono essere contestuali: è il caso previsto dall’art 548 c.c. si pensi ai casi di reciproco tradimento o di reciproche lesioni. Possono sussistere, quindi, contestualmente condotte di entrambi i coniugi valutabili come gravemente contrarie ai doveri imposti dal matrimonio e che sono in astratto idonee a causare la rottura del rapporto coniugale.

In questi casi la Cassazione ha ritenuto ammissibile la pronuncia di addebito della separazione ad entrambi i coniugi (Cass. civ., sez. I, sent. 26 giugno 2013 n. 16142) e rigettato la richiesta di assegno di mantenimento.

Le conseguenze dell’addebito

Il coniuge a cui sia stata addebitata la separazione, qualora fosse astrattamente titolare del diritto di mantenimentoperde tale diritto e perde anche i diritti successori . Egli conserva tuttavia il diritto agli alimenti, qualora sussista il presupposto dello stato di bisogno richiesto dall’art. 438, comma 1, c.c.

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