Assegnazione casa familiare

Assegnazione casa familiare

Definizione di casa familiare o coniugale

La casa familiare è il bene immobile in cui si svolgeva la vita familiare allorché la famiglia era unita (cfr. Cass. 20 gennaio 2006, n. 1198).

Detta definizione è importante perché da ciò deriva che non può essere oggetto di un provvedimento di assegnazione un immobile in cui i coniugi avevano solo progettato di trasferirsi prima della crisi familiare, senza avere ancora realizzato il loro proposito. E che costituisca ancora, al momento della separazione, il luogo in cui la famiglia vive (cfr. Cass. 9 settembre 2002).

Non può pertanto essere oggetto di assegnazione un immobile che i coniugi avevano già lasciato, seppure da poco tempo, prima della separazione, perché esso ha comportato lo sradicamento dei figli da quell’ambiente di vita, collegamento che non può essere ripristinato se la casa familiare è stata abbandonata.

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale

E’ uno dei provvedimenti c.d. provvisori ed urgenti che vengono dati dal giudice alla prima udienza insieme a quello di affidamento della prole e alla fissazione di un assegno di mantenimento.

Con il provvedimento di assegnazione della casa coniugale si consegue un diritto personale di godimento paragonabile al diritto di abitazione derivante dalla locazione, dunque un diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della casa coniugale. Successivamente si celebrerà il processo tendente eventualmente rivedere la misura di quell’assegno o a stabilire a chi sia addebitabile la separazione.

Su chi incombe l’onere di provare la qualità di “casa familiare”?

Quando uno dei coniugi chiede l’assegnazione di un immobile affermando che si tratta della casa familiare e l’altro contesta tale qualità dell’immobile, spetta a chi chiede l’assegnazione dimostrare la sussistenza della contestata qualità (Cass. 29 ottobre 1998, n. 10797).

Va però precisato che i dati che risultano dai registri anagrafici fanno sorgere una presunzione iuris tantum. Ne deriva che, se la famiglia risulta essere anagraficamente registrata in un certo luogo, il coniuge che chiede l’assegnazione dell’immobile ove la famiglia è anagraficamente residente, non dovrà fornire alcuna prova; spetterà all’altro che si opponga all’assegnazione l’onere di superare la presunzione.

Caratteristiche strutturali e funzionali della casa coniugale

Si è posto in giurisprudenza il problema se possa essere considerata come casa coniugale una casa di villeggiatura o comunque un’abitazione diversa dalla dimora abituale della famiglia. La risposta a tale quesito è negativa: abbiamo detto che la casa familiare è il bene immobile in cui si svolgeva la vita familiare allorché la famiglia era unita funzionalmente e strutturalmente tesa a garantire alla prole il luogo di crescita ideale; il giudice può quindi occuparsi di immobili diversi dalla casa coniugale ( ad es. La casa di villeggiatura) anche se saltuariamente o anche stabilmente utilizzati dalla famiglia, solo nel diverso contesto del diverso giudizio di divisione del patrimonio comune (Cass. 4 luglio 2011, n. 14553)

Quali sono i presupposti per l’assegnazione

L’art 337 sexies c.c. afferma che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il coniuge assegnatario deve quindi convivere con figli minori o con figli maggiorenni non indipendenti economicamente. E’ dunque evidente che la tutela è incentrata sulle esigenze dei figli minorenni e di quelli maggiorenni privi di reddito senza loro colpa.

Tuttavia, il codice civile sembra consentire una interpretazione più ampia, perché secondo la dottrina l’uso dell’avverbio “prioritariamente” intende che può rilevare anche l’interesse del coniuge. Infatti, in mancanza di figli, l’abitazione della casa familiare potrebbe quindi essere eccezionalmente assegnata al coniuge che ne abbia un preminente e serio bisogno.

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale si estende anche ai beni mobili che costituiscono l’arredo della abitazione, a meno che i coniugi non abbiano pattuito – anche al fuori dei patti omologati in una separazione consensuale – che alcuni beni mobili siano prelevati dalla casa coniugale dal coniuge che ne è proprietario esclusivo.

A chi va la casa coniugale in una coppia senza figli

In caso di una coppia senza figli, se l’immobile è di proprietà esclusiva di uno dei due, l’altro deve lasciare l’immobile; non c’è alcun dubbio su questo. Se non lo fa, il coniuge proprietario dovrà attivare una procedura simile allo sfratto.

Se, invece, l’immobile appartiene in comproprietà ai coniugi, ricordiamo che l’art 337 sexies c.c. afferma che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli e che dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori.

La giurisprudenza quindi sul punto perviene ad assegnare la casa coniugale, anche in assenza di figli, al coniuge economicamente più debole in attesa di regolamentare in altra sede la divisione dei beni tra i coniugi. Dunque o si accordano su chi rimarrà nella casa e chi, invece, si trasferirà altrove o si procede con il giudizio di divisione. In detto ultimo giudizio si potrà o attribuire in proprietà esclusiva l’Immobile ad uno dei due, che darà il 50% del suo valore all’altro o si procederà alla vendita forzata a terzi il cui ricavato andrà ripartito in due.

Qual è la durata del diritto all’assegnazione della casa familiare

Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che il coniuge collocatario dei minori, non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare. Qui la prova degli eventi che legittimano la revoca è a carico di colui che agisce chiedendola e tale prova deve essere particolarmente rigorosa in presenza di prole affidata o convivente con l’assegnatario e dimostrare in modo univoco che gli eventi medesimi sono connotati dal carattere della stabilità e cioè dell’irreversibilità.

Dal canto suo il giudice investito della domanda di revoca deve comunque verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l’assegnatario. E’ ovvio che se permangono le esigenze della prole minorenne o maggiorenne priva di reddito il provvedimento non può essere revocato.

Casa coniugale assegnazione presupposti

Cosa succede se la casa coniugale era stata venduta ad un terzo prima dell’assegnazione?

Le ipotesi verificabili sono variegate e non riassumibili in poche righe. Vale però in linea di principio la seguente regola se il diritto di proprietà sul bene immobile oggetto di assegnazione è anteriore al provvedimento stesso prevarrà sul provvedimento di assegnazione, che sarà dunque opponibile al terzo proprietario solo per un novennio dalla data certa della sua emissione.

In caso di vendita successiva al provvedimento di assegnazione, quest’ultimo sarà opponibile anche oltre il novennio se trascritto prima della trascrizione dell’atto di compravendita.

Cosa deve pagare l’assegnatario della casa coniugale ?

L’assegnazione della casa coniugale esonera l’assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo dell’immobile assegnato, sicché la gratuità dell’assegnazione dell’abitazione a uno dei coniugi si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima, ma non si estende alle spese correlate a detto uso, ivi comprese ad es. quelle relative al pagamento della TARSU (Cass., sez. VI-1, 7 maggio 2018, n. 10927).

Cosa accade se vengono meno i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale?

Che accade se il proprietario la vende sul presupposto che i figli sono ormai maggiorenni e titolari di reddito? In questo caso il terzo acquirente della casa coniugale, già assegnata al coniuge affidatario del figlio minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente, non è legittimato, venuti meno i presupposti per l’assegnazione, a chiedere la revisione del giudizio ai sensi dell’art. 9 della L. n. 898/1970, ma può instaurare un ordinario giudizio di cognizione, chiedendo l’accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, così conseguendo la declaratoria di inefficacia del titolo che legittimava l’occupazione della casa coniugale (Cass., SS.UU. 22 luglio 2015, n. 15367).

Quando viene meno l’assegnazione della casa coniugale o familiare

L’assegnazione della casa coniugale deve essere revocata quando vengono meno i presupposti che la reggono e quindi quando i figli dei coniugi cessano di convivere stabilmente con il genitore assegnatario oppure raggiungono l’autosufficienza economica.

L’assegnazione deve quindi essere revocata quando il figlio maggiorenne in precedenza convivente e non autosufficiente lascia la casa coniugale per trasferirsi altrove. In questo caso, peraltro, il giudice può tenere conto degli effetti economici conseguenti al venir meno dell’assegnazione ed aumentare l’assegno dovuto per il contributo al mantenimento del coniuge debole già assegnatario (Cass., 28 aprile 2010, n. 10222).

L’art. 337-sexies c.c. ha previsto inoltre che l’assegnazione sia revocata nel caso in cui:

  1. l’assegnatario non abiti o cessi di abitare nella casa;
  2. nel caso in cui conviva stabilmente more uxorio;
  3. nel caso contragga un nuovo matrimonio.

Che accade se la casa coniugale è stata data in comodato da un genitore o da un terzo?

Anche l’immobile concesso in comodato da un genitore o da un terzo può essere oggetto di assegnazione, se consta che il godimento è stato concesso per soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario. In particolare l’art. 1809 disciplina il comodato sorto con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale. Esso è caratterizzato dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno.

È a questo tipo contrattuale che va ricondotto il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario, da intendersi in tal caso “anche nelle sue potenzialità di espansione” (Cass. civ., SS.UU., 29 settembre 2014, n. 20448).

Consulenza per revoca casa coniugale

Come si trascrive l’assegnazione della casa coniugale

Ai sensi dell’art 337 sexies c.c. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.

La trascrizione del provvedimento di assegnazione si segue alla Conservatoria dei registri immobiliari e ha valore di pubblicità dichiarativa, con il conseguente operare della regola sancita dall’art. 2644 c.c.

Secondo l’opinione prevalente il diritto all’assegnazione della casa coniugale conserva la sua natura personale, ovvero di diritto obbligatorio, ed è come tale opponibile ai terzi, nel limite del novennio, anche in assenza della trascrizione del relativo provvedimento giudiziario, analogamente a quanto avviene per il contratto di locazione, avendo per sua stessa natura data certa. Se però viene trascritto è da considerarsi opponibile, anche e solo agli eventuali terzi acquirenti dell’immobile che abbiano trascritto successivamente il loro acquisto, ed anche oltre il novennio.

Ovviamente tutto ciò fino alla revoca o modifica del provvedimento di assegnazione, ovvero fino al venire meno della sua naturale durata, costituita dal raggiungimento della maggiore età del figlio affidato al coniuge assegnatario dell’immobile o alla sua indipendenza economica se maggiorenne, tale essendo la finalità della predetta assegnazione: evitare al figlio minore l’allontanamento dall’ambiente domestico in cui era fino ad allora cresciuto.

Come riavere la casa coniugale

Per ottenere la casa coniugale assegnata all’altro coniuge è necessario che siano cessati i presupposti per l’assegnazione e sulla base di essi chiedere la revoca del provvedimento.

Quindi si può provare che i figli sono frattanto maggiorenni e autonomi economicamente o che il genitore assegnatario abbia una relazione more uxorio stabile o abbia contratto nuovo matrimonio.

Tutte ipotesi che vanno vagliate e insuscettibili di essere trattate in maniera generica.

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