Alienazione parentale: cosa fare se tuo figlio non vuole vederti

Alienzazione genitoriale cosa fare

“Avvocato, mio figlio non mi vuole vedere”

Sono queste le parole che sempre più spesso l’avvocato divorzista si sente rivolgere dal genitore, c.d. “non collocatario”, quello cioè presso il quale il bambino è collocato per la minor parte del tempo.

Si fa riferimento agli incontri genitori / figli nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio e che per prassi ormai consolidata nei provvedimenti dei Tribunali distinguono tra genitore collocatario e genitore non collocatario, sebbene la legge non faccia questa distinzione.

L’art. 337 ter c.c,   al suo primo comma al contrario dice che “Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori..” e “il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i minori restino affidati ad entrambi i genitori” aggiunge che determina i tempi e le modalità della loro presenza “ presso ciascun genitore”.

Da questo inciso normativo, che sancisce il principio di bigenitorialità da orma 15 anni, si è scivolati verso la “c.d. collocazione” in funzione del maggior tempo trascorso presso uno dei due genitori, sempre tenendo presenti le esigenze del minore e le necessità dei genitori.

La permanenza maggiore o minore presso uno dei due (che nel 90%dei casi è la madre)  determina altresì  – in funzione del reddito di ciascuno –  la quantificazione del c.d. mantenimento indiretto del genitore c.d. non collocatario.

La maggiore presenza del minore presso una dei due però, che a causa del ruolo primario nei primi anni di vita del bambino è la mamma,  determina l’influenza “orientata” della stessa nei processi formativi della volontà del minore.

In altre parole, gli accesi conflitti spesso in atto tra i due coniugi vengono traslati sul minore, che diventa sempre più spesso diventa  bottino di guerra e che viene strumentalizzato al fine di estraniare il genitore meno presente.

Il figlio così, subisce un processo di “adultizzazione”, diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei genitori (denominato, appunto, “alienato”), perché l’altro (c.d. “genitore alienante”) lo ha influenzato in questo senso, dicono i padri – “gli ha fatto il lavaggio del cervello.”

Detta problematica, più che riguardare la diagnosi di sindromi universalmente disconosciute dai manuali di psichiatria, riguarda il piano dei comportamenti: in particolare degli illeciti. Ce ne siamo occupati in questo blog stigmatizzando il comportamento dei genitori che si servono di questo maggior tempo a loro disposizione per alienare l’altra figura genitoriale.

Cosa fare quindi, ci chiede il genitore alienato, se mio figlio non vuole vedermi?

Sebbene sia astrattamente legittimo dare ascolto alla voce dei più piccoli, è altrettanto vero che bisogna ascoltare anche la voce dell’altro genitore.

In ogni caso il Tribunale, chiamato a pronunciarsi sul conflitto genitoriale, ha l’obbligo di indagare sulle ragioni che portano un minore a non voler incontrare il proprio genitore.

Ha l’obbligo di capire perché nel giro di poche settimane quello che era il genitore con cui andava al parco o giocava a pallone improvvisamente non è più desiderato e addirittura respinto.

Il concetto di “alienazione genitoriale” gradualmente è stato negli anni riconosciuto anche in ambito giuridico, trovando diffuso ingresso nelle aule dei Tribunali, ove i giudici, in alcuni casi, hanno adottato severi provvedimenti per contrastare dette condotte.

Non potendo dunque parlarne come di una patologia, ha detto la Cassazione, possiamo parlare di comportamenti che non vanno trascurati. Va in questa sede ricordato che alla luce delle plurime sentenze dei Tribunali di merito e di legittimità ( cfr: decreto Tribunale di Milano del 13.10.2014, Cass. civ n.7041/2013 nonché recentemente Cass.civ. n.6919/2016) detta fenomenologia comincia ad essere opportunamente valorizzata con l’accordo pressoché unanime di avvocati, psicologi e assistenti sociali.

Segnaliamo di recente cosa è accaduto in un caso portato all’attenzione del Tribunale di Brescia che si è pronunciato in merito con la sentenza del 22 marzo 2019.

Una sentenza storica in materia di alienazione genitoriale

Con la sentenza n. 815 del 22 marzo 2019 (pdf) il Tribunale di Brescia si è pronunciato in merito ad interessante caso di separazione personale ad alto tasso di conflittualità fra due coniugi, con reciproche contestazioni anche relativamente all’affidamento della figlia minore.

Nel caso in esame la madre, sin dall’inizio del procedimento, ha sostenuto l’inadeguatezza del padre a rivestire il ruolo di genitore, chiedendo l’affidamento esclusivo della figlia, con disciplina del diritto di visita al padre in forma protetta. Gli iniziali provvedimenti provvisori avevano stabilito l’affidamento condiviso della minore con suo prevalente collocamento presso la residenza della madre per convivere con la stessa, disciplinando il regime di visita del padre.

Il rapporto tra la minore e il padre, inizialmente positivo, andava progressivamente peggiorando, fino ad arrivare ad un rifiuto generale della minore a trascorrere del tempo con il padre.

La situazione era connotata da particolare gravità perché la madre aveva sporto querela nei confronti del marito, accusandolo di aver tenuto comportamenti inappropriati in danno della minore nei tempi di permanenza presso di lui (in particolare lo accusava di toccarla nella parti intime).  Conseguentemente il giudice disponeva gli incontri protetti con il padre e disponeva consulenza tecnica psicologica al fine di approfondire le cause del deterioramento del rapporto padre-figlia, oltre all’analisi delle capacità genitoriali delle parti. Venivano, altresì, incaricati i Servizi Sociali territorialmente competenti per avviare un monitoraggio familiare.

Gli 8 sintomi tipici dell’alienazione genitoriale

Ebbene la CTU accertava nel caso appena segnalato tutti i sintomi caratterizzanti la PAS, ravvisando nella condotta materna l’origine del deterioramento del rapporto padre-figlia e affermando in modo condivisibile, che gli otto sintomi tipici dei comportamenti alienanti utili «a valutare i punti critici nelle relazioni disfunzionali tra il minore ed il genitore rifiutato» sono tutti presenti:

  1. La campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante;
  2. La razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali;
  3. La mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è “tutto positivo”;
  4. Il fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;
  5. L’appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;
  6. L’assenza di senso di colpa;
  7. Gli scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;
  8. L’estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

Nel dettaglio si rilevava come la madre, a dispetto di alcuni rimproveri, dal contenuto meramente formale, rivolti alla figlia quando la stessa rifiutava il padre (di essi danno atto i Servizi sociali nelle ultime relazioni depositate), la sentenza dice che “ il reale comportamento della madre  – con cui la bambina ha stretto un «conflitto d’alleanza» è stato costantemente teso a limitare l’accesso della figlia al padre.”

Al contrario il comportamento del padre nei confronti della bambina veniva valutato positivamente, tanto da dubitare dell’attendibilità della denuncia materna, sfociata poi nell’archiviazione del procedimento penale da parte del G.i.p. di Brescia in quanto priva di riscontri probatori.

In definitiva il Tribunale ha disposto l’affido esclusivo al padre con diritto di visita della madre alla presenza di un educatore individuato dai Servizi Sociali, al fine di “limitare possibili condizionamenti della madre e garantire il graduale consolidamento del rapporto padre-figlia”.

Quando si ha capacità genitoriale?

A sostegno delle proprie decisioni il Tribunale ha citato le conclusioni delle indagini svolte e ha richiamato un importante principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza 8 aprile 2016 n. 6919, in base al quale “tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità ed alla crescita equilibrata e serena”.

Senza alcun dubbio una sentenza coraggiosa che interrompe una prassi giurisprudenziale, ormai consolidata sul territorio nazionale, in cui l’avvocato divorzista si dibatte quotidianamente difficilmente scardinabile anche in presenza di gravi violazione come questa.

QUI IL PDF DELLA SENTENZA

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